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Guerra, l’antidoto della cooperazione

Guerra, l’antidoto della cooperazione

L'editoriale del presidente Massimo Minelli

Categorie: Primo PianoConfcooperative Lombardia

Tags: editoriale

Di fronte al nuovo conflitto in Palestina restiamo tutti senza parole e proviamo un imbarazzante senso di impotenza.

Ma è su questa idea di impotenza che forse dobbiamo lavorare, perché esiste una responsabilità personale e comunitaria a cui non possiamo e non dobbiamo rinunciare. Soprattutto noi che apparteniamo ad una tradizione, quella del movimento cooperativo, che è sorta per unire, dialogare, partecipare e difendere gli interessi dei più deboli.


“L’Occidente si fonda sull’idea di persona libera e responsabile” scrive Magatti nell’editoriale apparso su Avvenire mercoledì 1 novembre e “non solamente sulla tecnologia, i consumi, il benessere”. Credo che sia ormai prioritario prendere atto definitivamente quanto la deriva, di cui parla Magatti, stia comportando seri problemi per le nostre democrazie liberali, sempre più afflitte da questioni strutturali interne, come ad esempio quelle demografiche o energetiche, ma anche con una crescita significativa delle povertà e delle disuguaglianze, ampliando il rischio di forti conflitti sociali. 

 

Da un paio di anni si è complicato anche il quadro internazionale perché, prima con la questione ucraina e ora con quella palestinese, la stragrande maggioranza dell’umanità non si riconosce più con l’Occidente. Ormai è un’urgenza: bisogna rapidamente tornare a parlare un linguaggio di cooperazione. Dovunque. In casa come al lavoro, nel Paese come a livello internazionale. 

 

Nell’era della digitalizzazione, la cooperazione mai come adesso ha il compito di connettere: la tradizione con l’innovazione, il lavoro con il capitale, i giovani con chi giovane non lo è più, le città e le campagne, gli esclusi con il resto della società, l’Oriente e l’Occidente con il Sud ed il Nord del mondo.


Una società complessa come l’attuale si tiene insieme solo mutuando gli interessi di tutti ricercando di volta in volta la sintesi migliore, sviluppando forme politiche capaci di ascoltare, creare relazioni virtuose e chiamare tutti al processo democratico di decisione. Se da tempo non è più così questo è perché la politica ha finito per essere ancella dell’economia, sempre più prerogativa di pochi grandi interessi.

 

Il movimento cooperativo, è ontologicamente sintesi, virtuosa, tra politica ed economia, ed è per questo che ha la responsabilità di porre in evidenza in questo momento storico la propria distintività dal resto del panorama esistente, perché può interpretare una via di uscita dalla crisi in cui l’Occidente, seguendo le sirene dei facili profitti (per pochi), si è cacciato.

 

A suo favore depongono anche le recenti attenzioni dei legislatori europei che stanno progressivamente riconoscendo l’urgenza di avere un sistema economico non solamente estrattivo ma capace di tenere insieme i vari volti della complessità della nuova era. Ma per essere credibile, bisogna sviluppare tutte le alleanze possibili con chi vuole costruire economia sociale, ponendo al centro contenuti forti e strategie chiare e condivise. Il terreno è molto fertile, perché siamo in presenza di grandi bisogni collettivi a cui ad oggi non corrispondono adeguate soluzioni come risposte. 

 

Riprendere con forza la via dell’umanesimo è l’unica modalità con cui l’Europa può ancora porsi con autorevolezza anche a livello globale. Ma questa via passa anche dalle scelte del movimento cooperativo e dalla responsabilità che questo sarà in grado di assumere. 

Massimo Minelli

Presidente di Confcooperative Lombardia