Nonostante le rassicurazioni della Regione il piano vaccinale procede ancora in modo disordinato e poco efficiente. La Lombardia è la regione con più abitanti in Italia, la più ricca del paese, quella che ha avuto più contagi e decessi – oltre 30.000; nonostante tutto questo, sta vaccinando in ritardo rispetto a molte altre regioni italiane.
A ieri, 25 marzo, Regione Lombardia ha somministrato l’83,6% delle dosi disponibili (collocandosi al 17^ posto tra le Regioni Italiane, appena prima della Basilicata, Liguria, Campania, Sardegna – la media italiana è 85,8%), con un rapporto tra dosi di vaccino somministrate e abitanti pari al 13,46% (di cui il 4,26% ha ricevuto anche la 2^ dose).
Certamente serve che il Governo Italiano si impegni al massimo per fornire alle Regioni un maggior numero di dosi di vaccino, ma è altrettanto importante che la Lombardia sistemi al più presto le falle organizzative che hanno caratterizzato, fin dall’inizio, la campagna vaccinale.
Non basta rimuovere il CdA della società ARIA; non è solo il fallimento della gestione informatica assegnata ad ARIA quello che ha generato appuntamenti dati a distanze chilometriche, persone convocate in eccesso o in difetto rispetto alla disponibilità di somministrazioni, ultraottantenni che ancora sono in attesa della chiamata, personale e ospiti delle strutture socio-sanitarie diverse dalle RSA in buona parte ancora non vaccinati.
Quando anche il nuovo sistema di Poste Italiane entrerà in funzione, e quando – si spera a brevissimo – le dosi dei diversi vaccini saranno disponibili in numero massiccio, senza un’efficiente coordinamento tra Regione – ATS – ASST e senza organizzare la collaborazione con gli enti del Terzo Settore molte delle inefficienze e ritardi non troveranno soluzione.
Nella prima fase dell’emergenza la collaborazione tra Terzo Settore e Istituzioni ha fatto sì che molte persone e famiglie non rimanessero sole, senza cibo, senza sostegni, senza cura; quelle stesse associazioni e organizzazioni di volontariato oggi chiedono a Regione che si proceda davvero a definire un piano vaccinale che, oltre a completare con urgenza la vaccinazione alle persone ultraottantenni, limitando così altre morti e il sovraffollamento di ospedali e terapie intensive, consideri tra le priorità le persone con disabilità che frequentano i Centri Diurni, quelle che vivono nelle loro case, i famigliari e i caregiver che li assistono, così come i tanti volontari e volontarie che non hanno mai smesso, da quando la pandemia è iniziata, di occuparsi dei trasporti per le persone fragili e anziane, di accompagnarle alle visite mediche, di consegnare gli alimenti a chi non li poteva andare ad acquistare o non se li poteva comperare, che proseguono nel loro instancabile e prezioso compito di vicinanza e sostegno alle persone sole, recluse in casa da lunghissimo tempo.
Nei territori “capita” che i volontari vengano vaccinati, ma dipende dalla sensibilità ed attenzione del dirigente di quella ASST o ATS, con grande disparità di comportamento non solo tra le diverse ATS, ma anche tra ASST della stessa ATS.
Abbiamo già dato tutta la nostra disponibilità a collaborare, abbiamo predisposto gli elenchi, stiamo informando e sollecitando l’adesione alla campagna vaccinale delle persone più vulnerabili e con grave disabilità, ci mobilitiamo quando veniamo chiamati alle 8 di sera per portare qualcuno a farsi vaccinare perché le preziose dosi di vaccino non vadano sprecate, ci assumiamo oggi come ieri quella responsabilità del bene comune che la nostra storia e le nostre finalità ci affidano. Tutto questo va preso sul serio e non lasciato al caso o alla buona volontà dei singoli, ma va governato e organizzato perché non si generino disparità e perché ne hanno bisogno le comunità.