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Minelli all’evento "La libertà di reiventare Milano" di Fondazione Giannino Bassetti

Minelli all’evento "La libertà di reiventare Milano" di Fondazione Giannino Bassetti

L'incontro a Palazzo Marino con stakeholder e politica 

Categorie: Confcooperative Lombardia

Tags: Fondazione Bassetti

Il 26 marzo, nella Sala Alessi di Palazzo Marino, Fondazione Giannino Bassetti ha curato il convegno La libertà di reinventare Milano. Quando rappresentanze e società civile pensarono la città nuova. Inserito nel palinsesto di eventi Tempo di pace e di libertà. Ottanta anni di Liberazione promosso dal Comune di Milano nell’ambito del progetto Milano è memoria, l’incontro ha visto la partecipazione di Piero Bassetti, Presidente della Fondazione (qui il suo intervento conclusivo), dell’Assessore Emmanuel Conte, di Fiorenzo Marco Galli direttore generale del Museo Nazionale Scienza e Tecnologia, Fiorella Imprenti di Fondazione Aniasi, Maria Canella e Paolo Zanini dell’Università degli Studi di Milano, Luca Stanzione segretario generale della Camera del Lavoro, Massimo Minelli presidente di Fondazione Triulza e Confcooperative Lombardia, e ancora Dario Baldini e Giulio Antonucci di Fondazione Bassetti. 

Di seguito  l'intervento del presidente Minelli e una sintesi della mattinata (moderata da Luca Gibillini e Francesco Samorè), il video e il podcast.

Uno dei simboli di questa capacità di produrre conoscenza è MIND, Milano Innovation District, il parco scientifico sorto sull’area dell’Expo 2015. Ne parla Massimo Minelli presidente di Fondazione Triulza che già occupa la vecchia cascina, ma nel distretto ci sono anche SkyDeck, l’acceleratore di startup dell’università di Berkeley, la Scuola di restauro di Botticino promossa da Valore Italia, l’Ospedale Galeazzi, i ricercatori di Human Technopole, il Politecnico e una quarantina di imprese. «La cooperazione è sempre stata importante in questa città. Ricordare gli 80 anni dalla Liberazione, significa anche ricordare gli 80 anni dalla ricostituzione dei movimenti cooperativi, sciolti durante il fascismo», dice. «A Mind per ora siamo in 15 mila, ma arriveremo a 70 mila. Ma solo se questo circolo virtuoso sarà più che la somma matematica delle presenze; solo se le dottrine scientifiche e tecnologiche incroceranno il carattere etico e politico che Milano ha sempre saputo esprimere, MIND potrà diventare un volano per la città, per la Lombardia, il Paese e forse l’Europa. Il cambiamento è responsabilità esercitata nella libertà, e la libertà è prima di tutto partecipazione». Un obiettivo ambizioso, documentato in una Carta dei Valori che mette al centro di ogni azione la protezione del Pianeta, la coesione e l’inclusione sociale, un’economia più equa, la massima trasparenza e condivisione nei processi di innovazione. E al centro ci sono anche le nuove generazioni, i protagonisti delle attività di Fondazione Triulza e di un centro MIND nato con la specifica missione di essere luogo internazionale.

Qui tutti gli altri interventi della giornata:

Nei mesi e anni successivi alla Liberazione Milano affrontò, con la partecipazione delle rinate rappresentanze civili, imprenditoriali, culturali e politiche, la sua ricostruzione. Ricostruzione materiale, con nuove case, scuole, ospedali, ma anche valoriale, con la rinascita, sulle macerie dei bombardamenti, dei simboli di una nuova cultura tecnico-scientifica, artistica, civile. A questa eredità civica e morale fa riferimento l’assessore Emmanuel Conte nell’introduzione al convegno, sottolineando che: «In quel momento storico il grosso contributo venne proprio dalla partecipazione di tutta la società attiva, una sorta di civismo che vide la nascita di associazioni, sindacati, associazioni di categoria alleati con la politica per la ricostruzione della città». Lo stesso Palazzo Marino, sede dell’evento, fu bombardato, così come La Scala che, ricorderanno molti relatori, fu ricostruita dall’ingegner Lorenzo Setti e divenne il primo teatro europeo a riaprire dopo la guerra, con un concerto inaugurale diretto da Arturo Toscanini, di ritorno dall’esilio autoimposto, costituendo un momento fondamentale e fondante della nostra città. E furono uomini di Resistenza, ricorda Conte, i primi cinque sindaci successivi alla Liberazione: Antonio Greppi, Virgilio Ferrari, Gino Cassinis, Pietro Bucalossi, Aldo Aniasi. Del primo, Conte cita il libro Risorgeva Milano, rieditato dal primo sindaco “non ribelle” Carlo Tognoli, e soprattutto una frase in cui il politico e scrittore affermava che “Milano si era liberata da sola”. «E oggi si dice spesso», conclude, «che Milano si fa da sola». 

Ma le ricorrenze storiche non si limitano a questo. Durante la mattinata molti si soffermano sul Piano Casa avviato per rispondere all’importante esigenza abitativa del dopoguerra, in una Milano, quella attuale, in cui la questione abitativa è ancora presente. Così come riecheggia la domanda insita nel titolo del libro di Aldo Aniasi Ne valeva la pena. «Fare memoria», dice per contro Luca Gibillini (responsabile dei rapporti istituzionali con la città e del progetto Milano è Memoria per il Gabinetto del Sindaco), «non significa fare un punto sul passato, bensì raccontare il nostro presente, affermare l’identità della nostra città, conoscerla, insieme alla comunità e ai valori che la sostengono. Fare memoria è uno strumento per pianificare e rappresentare il presente». E Francesco Samorè (segretario generale di Fondazione Bassetti, qui il suo intervento completo): «La reinvenzione è ciò a cui siamo chiamati quando la storia ci si ritorce contro. Fu così ottant’anni fa, e lo è oggi, tempi in cui si smarrisce la bussola, si fa incerta la navigazione in un mare che tutto intorno si è fatto mosso, tempestoso».

Uno dei luoghi in cui questa reinvenzione di Milano si mostrò, all’alba del Secondo dopoguerra, fu quello che oggi conosciamo come Museo Nazionale Scienza Tecnologia Leonardo Da Vinci. Il direttore generale Fiorenzo Marco Galli ricorda che il fondatore Guido Ucelli di Nemi lo definì nel 1958 il “museo del divenire del mondo”: «Si diveniva in quegli anni, immaginiamoci quanto è repentino il divenire attuale. E ora come allora, valgono i valori di solidarietà e resistenza, ieri a un nemico definito, oggi a tante cose per poter essere quello che siamo. Di lavoro e sacrificio. Di fiducia nell’innovazione e nel progresso, consapevoli che innovazione e progresso non sono la stessa cosa: senza la comprensione dell’essere umano, l’innovazione è infatti solo tecnicismo o un fatto di affari». Galli omaggia la Milano insieme di comunità, accogliente per tradizione, fin dal mito fondativo raccontato dal libro di Eva Cantarella. La Milano ikigai, termine giapponese che significa “ragione di vita”; la città che si identifica con il Bedenkenträger, termine tedesco che indica colui che si mette lo zaino sulle spalle e lo porta avanti. Milano città infernale, come una delle Città Invisibili di Italo Calvino, in cui reinventarsi significa forse identificare quello che inferno non è, e sostenerlo.

All’indomani della Liberazione Milano venne sostenuta, e sostenne, uomini e donne di rinnovato senso civico. Una di queste – ricorda Fiorella Imprenti di Fondazione Aldo Aniasi – fu Elisa Boschetti, tra le prime riformiste socialiste che contribuì a impostare l’allora Piano Casa, e quello che oggi chiameremmo welfare locale. «Tutti i momenti di crisi richiedono grande collaborazione», dice Imprenti. «Un’apertura che non è cancellazione delle proprie idee, ma riconoscimento delle ricchezze dell’altro, e che si è tradotta in lasciti visibili nella costruzione della città, lasciti culturali». La storia di Aldo Aniasi, prima consigliere comunale, poi assessore ai lavori pubblici, quindi sindaco, ne è un esempio. All’inizio degli anni Settanta, fu, tra le altre cose, fondatore del Centro di collaborazione tra i sindaci delle grandi città del mondo. Qualcosa di simile all’odierno C40, testimonianza di una visione che cominciava a connettere autonomia locale e dimensione globale. «Il Centro dura un decennio» dice Imprenti, «ragionando su temi importanti come l’inquinamento, l’inurbamento, lo spopolamento dei territori, la salute, la cultura, la necessità di dare all’essere umano la possibilità di progredire individualmente e collettivamente. Aniasi e la sua esperienza ribadiscono l’importanza di dare rilevanza ai territori, di una crescita dal basso, per puntare a una visione ampia e internazionale. Un esercizio alla collaborazione che è tutt’uno con l’esercizio alla democrazia». 

E fu fattiva collaborazione quella che riunì i principali architetti della città determinando la rinascita dell’architettura milanese. Ne parla Maria Canella citando il monumento ai caduti nei campi di concentramento dei BBPR e il proposito di far uscire l’architettura italiana dal compromesso con il Regime. Un compito, dice Canella, sintetizzato dalle parole di Ernesto Nathan Rogers su Domus, “Si tratta di formare un gusto una tecnica e una morale come termini di una stessa funzione; si tratta di costruire una società”, e da Giuseppe De Finetti che scriveva: “È necessario rifare la città per ridarle utilità e bellezza”. «Ma fu soprattutto la strettissima collaborazione di architetti urbanisti con gli esponenti della giunta comunale, a caratterizzare la straordinarietà di quel momento cruciale. Una convergenza tra tecnici, amministratori e imprenditori illuminati per ricostruire la città partendo dalle esigenze immediate, sgombero delle macerie, ripristino dei servizi essenziali, alloggi temporanei e nuovi quartieri, fino a definire il nuovo Piano Regolatore di A.R. Architetti Riuniti che faceva dell’urbanistica, secondo la definizione di Enrico Peresutti, “l’organizzazione di un determinato territorio ai fini di distribuire equamente il lavoro e quindi i beni e le ricchezze”. Il piano, approvato nel 1953, non raccolse le istanze poste dal gruppo di architetti milanesi, ma il lascito culturale di quella stagione, compreso lo sguardo pionieristico di Giuseppe De Finetti che fu il primo a ritenere necessari le grandi infrastrutture che avrebbero dovuto collegare Milano al resto della regione e del Paese, rimane. «E di quella stagione», conclude Canella, «rimane l’esempio straordinario del QT8, il quartiere sperimentale promosso da Bottoni, che pure sull’architettura di quegli anni diede un giudizio molto duro, e rimane l’esempio di un intervento sulla città in maniera organica, consapevole e democratica».

La chiamata alle forze produttive, non soltanto il sindacato ma anche le imprese, per una riflessione sulle sfide che la Milano di oggi pone è il focus dell’intervento di Luca Stanzione, segretario generale della Camera del Lavoro, guardando al di là dei confini metropolitani fino all’Europa. «Siamo passati dal misurarci con un capitalismo territoriale, un capitalismo che aveva un legame con la ricostruzione italiana, al misurarci con un capitalismo sovranazionale, che si sta ridefinendo dentro la globalizzazione», dice. «Dentro le grandi aree metropolitane d’Europa e anche, per esempio, dentro le Camere di Commercio, soggetti che innervano il tessuto europeo, si può provare a ragionare su come difendersi da un capitalismo estrattivo, e provare a ripensare a un equilibrio economico che fa del territorio il suo punto di sviluppo». Stanzione pensa a Milano inserita in un’Europa capace di proteggere la rappresentanza produttiva, a partire dai dati, oggi risorsa fondamentale. Un’Europa in cui ripensare uno sviluppo equilibrato, ma che sappia anche guardare alla conoscenza, alla cultura e alla ricerca, che solo a Milano produce 16 miliardi di euro. Insomma una Milano che si reinventa per affrontare il futuro: «adotta la leva di sviluppo eco-compatibile, che già esiste e in linea con altre città europee, rappresentata dalla produzione di conoscenza».

La vocazione di Milano a trascendere i propri confini fisici e culturali è una costante negli interventi della mattinata. Giulio Antonucci esplora i contributi europeisti dell’Archivio Bassetti (qui il suo intervento), mentre Paolo Zanini invita a soffermarci, oltre al pluralismo espresso dai corpi intermedi dalle espressioni culturali e artistiche, sul pluralismo religioso. Quella di fare Milano la New York d’Italia era di fatto un’aspirazione già presente alla formazione dello Stato unitario. «Una capacità di attirare minoranze professionali, industriali, commerciali, svizzeri, tedeschi, alsaziani, oltre a un’importantissima comunità ebraica, che tanto hanno fatto per il tessuto economico italiano», dice Zanini. Che ricorda come, alla vigilia della Grande Guerra Milano, con i suoi 600mila abitanti, fosse già una piccola metropoli internazionale. Un carattere cosmopolita che subì un brusco rallentamento negli anni del fascismo, così la Liberazione dell’aprile 1945 coincise anche con la fine delle persecuzioni antisemite e delle misure vessatorie nei confronti di evangelici, avventisti, salutisti e metodisti. «Negli anni», dice Zanini, «Milano ha visto il consolidamento di altre minoranze religiose nazionali, a cominciare ovviamente da quelle musulmane, inizialmente formate da studenti mediorientali, palestinesi e iraniani, in seguito rafforzate da migrazioni economiche. Pur con lentezza e fatica, Milano ha saputo tornare a valorizzare pienamente le differenze religiose e culturali delle minoranze rendendole una ricchezza per la città. Grazie al contributo della Curia Arcivescovile di Milano, impegnata sul fronte del dialogo interreligioso negli anni del lungo episcopato del Cardinale Martini. E dal 2011, di un’amministrazione comunale intenta alla valorizzazione delle minoranze, religiose e no, all’interno di una città ormai fortemente caratterizzata in senso pluralistico. Ricostruzione e reinvenzione quindi, come ripresa di quella vocazione di accoglienza, di quella tradizione civica già evidente dalla prima metà del secolo XIX e che ha caratterizzato Milano nelle sue fasi più felici e feconde».

«La libertà di reinventare Milano – ha argomentato Piero Bassetti nell’intervento conclusivo – ammette la possibilità che occorra reinventarla. Un conto è parlare di Milano come è, un conto è parlare di come vorremmo che fosse, ed è questa la parte interessante. Andrebbe evitata una discussione tra Comune, Regione e Stato stretta nella visione nazionalista. Il presidente della Fondazione esemplifica questo punto richiamando i documenti mostrati da Dario Baldini (e consultabili online nel Centro di documentazione Bassetti), come il colloquio del 1971 tra lo stesso Bassetti, allora presidente di Regione, e Altiero Spinelli, Commissario Europeo; o come il pionieristico convegno del 1970 sulle Alpi, poi divenute macroregione europea (Eusalp). Insomma, in fondo il discorso tra l’Europa e le regioni era già tale nel 1971, e noi milanesi-europei non possiamo non occuparcene: «ricordiamo che già nel 1958 il sindaco Ferrari aveva portato Milano a classificarsi terza nel referendum promosso dal Consiglio Europeo su dove collocare la capitale della Comunità». «Milano – ha concluso Bassetti – deve escogitare, ambrosianamente, il “suo” modo di essere libera: un modo che anche durante il convegno abbiamo visto esprimersi nelle fondazioni, nelle nuove tendenze culturali della città e nelle innovazioni che ne reinventano le tradizioni civili».