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Dov’è finita la sussidiarietà?

Dov’è finita la sussidiarietà?
L'editoriale di Massimo Minelli, presidente di Confcooperative Lombardia

Categorie: Primo PianoConfcooperative Lombardia

Tags: cooperazione,   bene comune,   sussidarietà

Negli anni ‘90, di fronte alla prima Repubblica che si andava disgregando, una larga fetta di cittadini reclamò a grande voce l’applicazione del valore della sussidiarietà attraverso il quale si intese opporsi al dilagare del potere dello Stato, che, anche e soprattutto con il degenerare dell’esperienza dei partiti tradizionali del dopoguerra, rischiava di rendere asfittica qualunque esperienza nata dalle energie espresse direttamente dalla comunità.

La sussidiarietà era vista come legittimo sinonimo di libertà appunto perché metteva in gioco spazi di creatività di donne e uomini che si facevano direttamente protagonisti responsabili del proprio destino o di quello delle proprie comunità.

La stessa Chiesa Cattolica ricordava il detto: "l’autorità più grande non faccia quello che può essere fatto dal livello più piccolo", concorrendo così a rinforzare l’idea, tipica della nostra costituzione, che la comunità è più grande dello Stato e che la forma repubblicana é lo spazio libero dove concorrono forme diverse e non solo necessariamente pubbliche.

Tutto questo movimento sembra perdere vigore proprio con il riconoscimento costituzionale della sussidiarietà avvenuta nel 2001. In realtà sorge il sospetto che tanta enfasi sia stata sopita con l’affermarsi delle esternalizzazione di grandi fette del patrimonio e del potere statale a vantaggio di interessi privati, locali ma sempre più spesso sovranazionali. Finendo per travolgere anche ambiti molto delicati, come ad esempio quello della sanità. E’ quindi comprensibile che, nel momento in cui scoppiano le grandi crisi (come quella economica del 2008 e ancor più recentemente quella pandemica), si sia assistito ad un ritorno preponderante della presenza statale nella vita dei cittadini.

Io, che non amo le ideologie, ero molto scettico allora nel costatare che vi era un uso sovradimensionato del concetto di sussidiarietà e resto interdetto oggi nel vedere una presenza statale abnorme.

Dall’ osservatorio nel quale da anni mi trovo, credo di non esagerare nel dire che la cooperazione sia uno dei luoghi più idonei dove si possono applicare le regole della sussidiarietà, perché il cittadino si può dedicare liberamente alla costruzione del bene comune perseguendo un interesse mutualistico a vantaggio dell’intera comunità. E lo può fare partecipando da protagonista, insieme a tante altre persone, seguendo regole democratiche di costruzione del buon vivere. E nel fare tutto questo entra nella dinamica di cui si occupa con la propria organizzazione, non ne sta fuori o a lato, risponde ai bisogni prima e spesso meglio dello Stato e soprattutto innova in continuazione metodi e applicativi, perché la cooperazione non sopravvive se la propria comunità soccombe.

La sussidiarietà è un valore troppo alto per essere dimenticato, archiviato o peggio dileggiato. Forse siamo arrivati qui perché è stato un termine usato male o addirittura abusato. Però è importante che noi cooperatori, che stiamo facendo con la nostra organizzazione di rappresentanza un percorso di aggiornamento e di auto-consapevolezza del ruolo che siamo chiamati ad assumerci, ci facciamo carico di ritornare a dare linfa a questo aspetto che denota bene il nostro stile di vivere sempre da responsabili del nostro tempo.


Massimo Minelli,
presidente di Confcooperative Lombardia