L’Italia, sulla base delle ultime rilevazioni Ismea, è il primo paese fornitore di vino negli Usa, sia in valore (1,6 miliardi di euro, + 6,1% rispetto al 2015, meglio anche della Francia, ferma a 1,4 mld), che in volume (3,2 milioni di ettolitri). Uno scenario in cui la Lombardia, assieme a Veneto, Piemonte e Toscana trionfa sul podio della bilancia commerciale oltreconfine. E se le classifiche del 2016 danno la Lombardia al terzo posto tra gli esportatori, conquista invece tra bottiglie Doc e Igt il primato delle denominazioni d’origine con il 90% (al di sopra di 15 punti rispetto alla media nazionale), con concentrazioni soprattutto nell’Oltrepò Pavese, nel bresciano (Franciacorta in testa) e Valtellina. Le performance dei vini lombardi rappresentano l’8% del totale delle produzioni enologiche italiane, di cui il 35% è made in cooperativa. Tra queste le cantine Colli Morenici, Quistello, Torrevilla, Rocche dei Vignali, Gonzaga e Terre d’Oltrepò, che ha acquisito assieme alla trentina Cavit il marchio La Versa, ritornato dopo la lunga crisi tra le protagoniste di Vinitaly 2017.
E proprio in occasione della fiera internazionale in programma a Verona fino al 12 aprile, l’Alleanza delle Cooperative Agroalimentari si è interrogata su cosa potrebbe accadere tra qualche anno per il comparto con le nuove politiche protezionistiche della presidenza Trump.
Da una indagine interna realizzata tra le principali cantine associate, è emerso che per le cooperative vitivinicole, che commercializzano più della metà (il 56%) di tutti i vini e gli spumanti italiani venduti negli Stati Uniti, le parole di Trump non sono lette al momento come una reale minaccia per le esportazioni di vino. “Nonostante i recenti annunci di dazi e ritorsioni del Presidente Trump – spiega Ruenza Santandrea, Coordinatrice del Settore vino dell’Alleanza delle cooperative agroalimentari – le nostre cantine non immaginano al momento uno scenario che possa repentinamente mutarsi in una forte ostilità verso i nostri vini. Non dimentichiamo infatti che gli Usa hanno anche un notevole peso come paese esportatore di vino, collocandosi al settimo posto nella graduatoria mondiale in volume e al quinto in valore. Se venissero messi dazi e barriere, tutti gli scambi commerciali subirebbero un contraccolpo e gli stessi produttori californiani finirebbero per essere penalizzati”.
Quale sarà il destino del vino italiano in un’America guidata per la prima volta da un presidente che non fa consumo di alcol? Nessuno ad oggi può prevedere cosa potrà accadere, anche se è evidente, spiega la Santandrea, “che se l’America andasse davvero avanti con pesanti politiche protezionistiche, anche il comparto vino avrebbe i suoi contraccolpi, come peraltro qualsiasi settore che dovesse subire questo tipo di politica”. Al momento, comunque, tra le cantine cooperative dell’Alleanza trapela “un timido ottimismo”. Anche per via del cambio favorevole di cui le esportazioni negli Usa stanno godendo da circa due anni, con il vantaggio per le aziende vitivinicole di poter investire in promozione e dare maggiore visibilità ai propri brand.
“Quello americano è un mercato maturo e in crescita”, confermano le cooperative che hanno maggiori quote di mercato nell’export a stelle e strisce. “Gli americani sono ormai consumatori evoluti, che stanno imparando a conoscere ed apprezzare i vini italiani, anche se a dire il vero qualche timore desta l’eccessiva concentrazione del fatturato registrato dal sistema Italia su pochi prodotti.”